Diritto di parola – “I Lupi di Monte Cairo” mietono successi internazionali e intanto devono lottare conto l’indifferenza locale

Quante realtà, più o meno sommerse, più o meno piccole, sono presenti sul nostro territorio e portano avanti con fatica, letteralmente “con fatica”, la passione di tante persone per lo sport? Magari non sono molto conosciute da chi abita a un passo da casa loro, ma compaiono in importanti manifestazioni nazionali e internazionali, a volte raggiungendo il podio e una visibilità che nel paese d’origine è offuscata. E’ il caso de “I Lupi di Monte Cairo”, un’associazione composta da corridori che consumano le loro scarpe sulle strade delle città e sui sentieri delle montagne. Il presidente, Antonio Raffaele Di Manno, era oggi presente in studio accanto a Lucia Campoli durante la trasmissione “Diritto di parola”.
Originario di Terelle, lo chiamano “Il Lupo” e ne va fiero, perché nutre un vero rispetto per questo nobile animale. Il nome dell’associazione l’ha elaborata in base alle tante simili che aveva incontrato da ragazzino, quando, già allora, se ne andava in giro per l’Italia a praticare la sua passione per la corsa. Gli associati a “I Lupi di Monte Cairo” si cimentano in due discipline, il running e il trail running. Non tutti conoscono la differenza, che è molto semplice da spiegare: mentre la prima è la classica corsa per strada, come la maratona, la seconda si fa in montagna. Il trail running è molto più complicato, perché ci sono i pericoli naturali da scansare durante la discesa. Spesso d’inverno si corre a -7°, per esempio sul Gran Sasso o sul Terminillo, mentre si affrontano ripide discese sui ghiacci. Bisogna essere agili, preparati e robusti per sopportare le sollecitazioni, con le pietre e i rami che, in velocità, ti si parano davanti.
Uno sport complicato, forse non alla portata di tutti: o no? Dice “Il Lupo”: «Tutti lo possono praticare, ma devono osservare le regole fondamentali di ogni sport: si devono allenare e devono usare tutti i mezzi di protezione e i mezzi che l’organizzazione mette nel programma in base alla pericolosità del percorso che si sta per correre». Nella preparazione è compresa anche l’alimentazione, che sarebbe riduttivo confinarla alla semplice assunzione di cibo: «Più che “dieta”, io la chiamo “stile di vita”, perché comprende tutto, dall’alimentazione all’allenamento, al riposo. L’alimentazione, poi, non è granché complicata, basta rispettare alcune semplici regole – non mangiare le cosiddette “schifezze”, abbinare proteine, carboidrati, legumi… nella giusta quantità, distribuita giornalmente – e tutto viene più facile».
Gli sforzi sono poi ripagati. La passione degli amici de “I lupi di Monte Cairo” li ha portati molto lontano: «Noi corriamo in campo nazionale e internazionale. Abbiamo corso in tutta Europa e quasi in mezzo mondo, New York, Parigi…». Sono stati raggiunti importanti risultati in varie competizioni. Per esempio due anni fa, a Riga, in Lettonia, il presidente Di Manno è arrivato primo tra gli italiani, un’emozione difficile da dimenticare, con l’inno che suonava mentre veniva premiato (perché si premiavano tutti i primi delle varie nazioni) e circondato dall’affetto di quella popolazione, che ha un debole per noi, a quanto pare. Poi Budapest (primo e secondo posto per lui e il vicepresidente), Oslo, Francoforte… Prossimamente saranno a Madrid e a Palma di Maiorca, ai campionati europei. Un atleta della “scuderia” della Società, Roberto Antonacci, a Firenze si è qualificato per gli europei in Olanda nella disciplina di corsa a ostacoli e, se passerà anche le qualificazione europee, andrà ai mondiali.
Tutti questi allori e queste soddisfazioni, però, suggeriscono un’amarezza ancora maggiore quando si tratta di valutare la considerazione che è riservata agli atleti nella propria terra, soprattutto se si confronta con quanto avviene all’estero. Quando si chiede a Di Manno se c’è una differenza tra l’organizzazione internazionale e quella italiana, la risposta giunge piena di sconforto: «Purtroppo sì. La prima cosa che ti viene in mente è che, quando andiamo da qualsiasi parte fuori dall’Italia (e dico: qualsiasi parte), ci sono persone a bordo strada che incitano gli atleti, festeggiano con gli atleti, non vedi una macchina nemmeno parcheggiata… tutta un’altra mentalità. Mentre, purtroppo, quando corriamo in Italia, anche nella Capitale, da tutte le parti, ci sono persone con le macchine che all’incrocio ti suonano perché non possono andare… non so, di domenica, che utilità hanno a usare la macchina dentro la città, forse per comprare il giornale o fare colazione. In Italia è molto fastidioso, invece all’estero no».
Una mancanza di considerazione anche economica, cui si fa fronte con le proprie forze, grazie ad alcuni sponsor che supportano le attività e con l’autofinanziamento – e con molto spirito di adattamento, visto che, una volta entrati nel giro internazionale, ci si organizza prenotando in anticipo e facendosi aiutare dagli organizzatori che si sono conosciuto in precedenti occasioni. Uno spirito di sacrificio che la passione giustifica e che non riesce ad abbatte i “lupi”.
C’è comunque un appello alle amministrazioni locali che Di Manno ha a cuore. La chiacchierata di oggi in radio vuole essere anche un incitamento ai politici, perché sappiano che ci sono atleti sconosciuti che gareggiano e portano alto il nome del territorio: «Un invito a portare avanti un programma di riqualificazione ambientale, piste ciclabili… perché adesso sanno che non sono lavori inutili, ma ci sono persone che usufruiscono di questi percorsi per portare avanti il territorio in campo internazionale, sempre al vertice delle classifiche».