Cassinate – Investimento mortale Umberto Pariselli, sulla SS 430 Valle del Liri: condanna a due anni e lungo ritiro della patente per il ‘pirata’ della strada
Due anni, 2 mesi e 20 giorni è la condanna inflitta in primo grado all’automobilista che il 25 agosto del 2020 ha investito ed ucciso il pensionato Umberto Pariselli. A suo carico è stata emessa anche la revoca della patente per almeno dieci anni.
E’ la sentenza, pronunciata dal Gip di Cassino a carico di in sessantenne di Rocca d’Evandro che il 25 agosto 2020, poco prima delle 19, sulla Statale 430 “Valle del Liri”, nella frazione cassinate di San Cesareo, ha investito l’81enne a bordo della sua bicicletta.
L’investitore viaggiava a bordo di un’auto risultata non assicurata sulla quale, dopo l’impatto, si era pure allontanato abbandonando la vittima al suo destino.
Per il pensionato, che ha battuto violentemente il capo contro la vettura (ha sfondato il parabrezza) e poi al suolo, non c’è stato nulla da fare: al loro arrivo i sanitari del 118, dopo inutili tentativi di rianimazione, hanno dovuto costatarne il decesso.
L’investitore, come ricorda la triste vicenda lo Studio 3A, che assiste la famiglia della vittima, inizialmente si era fermato ed era sceso dalla macchina, ma vi è risalito dopo neanche 20 secondi, come emerge dai filmati di una telecamera privata di un civico vicino acquisite dagli inquirenti. I carabinieri di Cassino, subito accorsi, e che i familiari di Pariselli ci tengono sempre a ringraziare per gli sforzi profusi, si sono messi immediatamente sulle tracce del pirata, agevolati anche dal fatto che, tra quanti, residenti e automobilisti di passaggio, si erano invece fermati a soccorrere la vittima allertando il 118, alcuni lo avevano visto e pure riconosciuto, abitando a soli tre chilometri di distanza.
I militari a tempo di record l’hanno raggiunto a casa, trovando puntualmente la sua vettura pesantemente danneggiata, e che peraltro aveva nascosto e occultato nel retro dell’abitazione, coprendo la targa e il posteriore con una tapparella.
A quel punto l’investitore non ha potuto che ammettere le proprie colpe, sostenendo di non aver visto il ciclista e giustificando la sua grave condotta culminata con la fuga e l’omissione di soccorso per lo spavento provato “avendo visto del sangue e sentito delle urla” e poi, tesi sostenuta invano anche al processo, per il fatto che si erano fermate anche altre persone.